“Piccola cucina“. Ci sono passato davanti quasi casualmente e, seppur senza prenotazione, abbiamo trovato un minuscolo tavolino sul marciapiede tra il prefabbricato COVID sulla sede stradale e la botola che porta al seminterrato dentro la quale i fornitori scaricano le provviste.
Proprio quando ci siamo seduti ne sono arrivati cinque con un numero significativo di scatoloni, la lingua parlata tra i camerieri ed i corrieri era un terzo spagnolo, un terzo inglese ed un terzo italiano. Quello che scaricava i cartoni dentro lo scivolo della botola sul marciapiede urlava come un ossesso a quello dentro il basement, probabilmente sordo come una campana. Il traffico era bloccato, per diversi minuti a fianco dalla baracca stradale anti covid c’è stato un grosso camion frigorifero che faceva un rumore assordante. Nello scampolo di marcapiede libero tra la mia sedia e la botola con gli scatoloni ed i corrieri ed i loro carrelli si formava la coda dei passanti. Il caos o, in altre parole, New York. Poi i fornitori se ne sono andati, il coperchio di ferro pesantissimo che chiude la botola è caduto con il rumore di un tuono, il traffico si è sbloccato ed è tornato il silenzio, ossia il solito rumore di sottofondo di Midtown che tanto silenzioso proprio non è.
La signora che è venuta a prendere l’ordinazione è probabilmente una second generation italiana, parla italiano con la caratteristica intonazione american-meridionale. In alcuni ristoranti italiani hanno una forma di pruderie che porta i titolari a parlare in inglese, se poi provi a parlare loro in italiano li metti nel panico perchè i camerieri sono quasi tutti ispanici ed io mi guardo bene dal parlare in italiano perchè non voglio metterli in imbarazzo. E poi “filetto mignone” proprio non suona bene.
Ad onor del vero io rifuggo i ristoranti italiani, di tutta New York ne ho provati direi non più di tre in tredici anni. Non perchè non si mangia bene, anzi. Ma in questo ristorante italianissimo c’era un articolo che dovevo provare. La focaccia col formaggio di Recco.
La pasta è un po’ diversa da quella di Recco, il bordo è relativamente duro e croccante. Ci buttano sopra un po’ di erbetta che non c’entra proprio ma che per fortuna non si sente. Però è insindacabilmente focaccia col formaggio ed è molto simile a quella che viene servita a Recco. Insomma è buona. Voto 7 più.
Quando la signora è tornata per chiedere se andava tutto bene, le ho detto che la focaccia era buona e che io ero di Genova. Allora s’è messa a raccontare; il titolare è un siciliano che per ragioni nobili ed encomiabili ha deciso di proporre la focaccia col formaggio di Recco ai neworkesi. Forse è la prima volta che qualcuno ci riesce. Per settimane e settimane ha fatto esperimenti per riuscire a combinare la pasta ed il formaggio disponibile in loco che doveva essere a buon mercato ed in quantità abbondanti. E poi doveva insegnare ai cuochi come si faceva, come si tira la pasta, il formaggio da mettere, l’olio di oliva giusto e la cottura. Sul menù c’è scritto “Fugassa” perchè se scrivi focaccia gli americani si aspettano qualcosa di completamente diverso, e comunque quando un abitante locale chiede cosa è, la signora deve fornire una spiegazione esauriente per evitare situazioni antipatiche. Pare però abbia un discreto successo. Alla fine ci hanno portato due cannoli siciliani in omaggio, ho lasciato una super mancia ed arrivederci.
E mentre io mangio focaccia di Recco a New York, una ritornante difficile da prevedere regala un po’ di pioggia alla bassa alessandrina, proprio in quelle zone semi desertiche dove i miei adorati alberi stentano a crescere. Adesso pare che arrivi una alta pressione potente e persistente per diversi giorni, temperature di nuovo primaverili, insomma non è la fine dell’incubo, ma prendiamo quello che viene.